IL TRIBUNALE Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata da p.m. in relazione all'art. 513, comma 1, c.p.p., cosi' come modificato dall'art. 1, legge n. 267/1997, per violazione degli artt. 2, 3, 101 e 112 della Costituzione nonche' degli artt. 1 e 6, commi 1 e 5, legge n. 267/1997 per violazione degli artt. 101 e 112 della Costituzione; Sentite le altre parti; O s s e r v a In data 10 dicembre 1997, l'imputato Romeo Paolo dichiarava di avvalersi della facolta' di non rispondere all'esame in dibattimento ed il p.m. chiedeva l'acquisizione e la lettura ai sensi dell'art. 513, c.p.p., dei verbali degli interrogatori resi dal predetto imputato al p.m. nella fase delle indagini preliminari anche nella parte riguardante le dichiarazioni indizianti valutabili a carico degli altri coimputati; La difesa tutta, ad eccezione dell'avv.to Ferraro difensore del Romeo, non ha prestato il consenso di cui all'art. 513, comma 1, c.p.p.; Il p.m., a tal punto, sollevava questione di legittimita' nei termini di cui in epigrafe, sottolineandone la rilevanza nell'ambito del presente procedimento e la non manifesta infondatezza; Quanto alla rilevanza, per come gia' indicato dal p.m., il tribunale ne ritiene la sussistenza con riferimento esclusivo all'art. 513, comma 1, c.p.p., essendo questa l'unica norma applicabile in concreto nella presente fase dibattimentale ed evidenziando in proposito che la prospettazione accusatoria si fonda quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal coimputato Romeo Paolo, di modo che, la parziale inutilizzabilita' delle stesse, comporterebbe un radicale pregiudizio per la ricostruzione dei fatti oggetto di decisione, incidendo sulla res judicanda, dal momento che i residuali elementi di prova, fungono prevalentemente da riscontro alle dichiarazioni in questione; Con riferimento poi alla non manifesta infondatezza dei profili di incostituzionalita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p., la norma in questione si appalesa in contrasto in primo luogo con l'art. 3 della Costituzione ed infatti, l'attuale regime normativo, facendo divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese da un imputato nei confronti degli altri coimputati non consenzienti, qualora il primo si avvalga della facolta' di non rispondere, crea una evidente disparita' di trattamento in rapporto alla medesima situazione che pero' si presenti nel corso di un procedimento di primo grado in corso all'entrata in vigore della disciplina novellata, quando sia gia' stata disposta la lettura, nei confronti degli altri imputati e senza il loro consenso, dei verbali di dichiarazioni rese alle persone indicate dall'art. 513, c.p.p., al p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, laddove l'art. 6, legge n. 267/1997 consente, ove le parti lo richiedano, la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso, ma senza prevedere alcuna comminatoria di inutilizzabilita' allorquando tali soggetti si avvalgano della facolta' di non rispondere ovvero non si siano presentate purche', la loro attendibilita' sia confermata da altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni rese al p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, di cui sia stata data lettura ai sensi dell'art. 513, c.p.p., nel testo previgente; Altro profilo di contrasto con il citato art. 3 e 111 della Costituzione, per irragionevolezza della disposizione normativa in esame, puo' individuarsi nel divieto di utilizzazione della dichiarazione resa, nei confronti dei coimputati non consenzienti, dall'imputato che in dibattimento non sia comparso o si sia avvalso della facolta' di non rispondere, in quanto preclude al giudice di valutare, con cognizione di causa, gli elementi di prova esistenti a carico del chiamato in correita'; infatti, data la natura di prova complessa (dichiarazioni + riscontro) che la chiamata in correita' assume ex art. 192, comma 3, c.p.p., la sottrazione dell'elemento basilare costituito dalla dichiarazione accusatoria, rende probatoriamente insignificanti gli elementi "satellitari" di riscontro, resi "orfani" della prova dichiarativa alla quale accedono, e fatti oggetto di valutazione isolata dal contesto dichiarativo entro il quale, soltanto, assumono significazione; in tal modo viene preclusa al giudice ogni possibilita' di reale apprezzamento delle prove a carico, complessivamente esistenti agli atti del procedimento, valutabili appieno invece solo con riferimento alla posizione del chiamante in correita'; Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p., con riferimento agli artt. 101, 111 e 112 della Costituzione, occorre evidenziare che la disposizione normativa che si assume in contrasto con i suddetti principi costituzionali rende le dichiarazioni confessorie rese non solo al p.m. ma anche al giudice delle indagini preliminari nella forma dell'interrogatorio ex artt. 64 e 65, c.p.p., pienamente utilizzabili in senso autoaccusatorio mentre per la parte eteroaccusatoria, la valenza processuale viene subordinata al consenso all'utilizzazione in dibattimento prestato dal chiamato in correita' ed, in quanto tale, portatore dell'interesse contrario all'utilizzazione della prova, creando una evidente sperequazione tra le parti processuali che va ad incidere pesantemente sulla conoscenza del giudicante, cui viene impedita una valutazione complessiva del materiale probatorio, fatto conoscere ad libitum ora nell'una ora nell'altra parte ed impedendo cosi', facendo dipendere la disponibilita' di una prova dalla volonta' del coimputato, il fine primario ed ineludibile del processo penale che non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'.